Avevamo raccontato, in una delle precedenti puntate di "Accettate il Consiglio", il fantastico mondo degli ex grillini.
Deputati e senatori eletti nel MoVimento Cinque Stelle e poi capitati altrove per i motivi più svariati: dal primissimo espulso, il senatore Marino Mastrangeli, cacciato perché andava ospite nelle trasmissioni di Barbara D'Urso - che, per carità, vista la qualità delle trasmissioni, una colpa un po' lo è per davvero , ma forse non così grave da far espellere qualcuno da qualsivoglia partito - a quelli che sono stati mandati via per "deviazionismo", ad esempio per aver parlato bene del governo Renzi, a quelli che se ne sono andati per non pagare più le quote al partito, a quelli che hanno ceduto ai corteggiamenti di berlusconiani, renziani, verdiniani, montiani, alfaniani, sovranisti vari.
E così avevamo raccontato nome per nome, partito improbabile per partito improbabile, gli addii ai Cinque Stelle nel corso della scorsa legislatura, dove al Senato i pentastellati sono partiti in 54 (53 più una che nei primissimi giorni è stata iscritta al Misto, ma poi ha raggiunto i compagni di MoVimento), chiudendo cinque anni dopo in 35, lasciando sul campo 19 colleghi.
Alla Camera, invece, quelli arrivati a Montecitorio per "aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno" erano 109 e cinque anni dopo hanno chiuso in 88, ventuno in meno.
In alcuni casi con parabole curiose, come quelle della padovana Gessica Rostellato, passata alla storia per aver iniziato la legislatura rifiutandosi di stringere la mano a Rosy Bindi, che gliela porgeva, in quanto identificava Rosy con l'odiato Pd, simbolo di tutte le disgrazie italiane, e per aver chiuso la legislatura proprio aderendo al Partito Democratico e votando la fiducia ai governi di Matteo Renzi e Paolo Gentiloni.
Insomma, nella scorsa legislatura i Cinque Stelle hanno perso per strada 40 parlamentari per i motivi più svariati e destinati ai lidi più vari. E, stavolta, ancor prima del fischio d'inizio sono sette gli eletti nel MoVimento Cinque stelle che sono iscritti ai Misti di Camera e Senato senza nemmeno essere degni di essere parlamentari pentastellati almeno per un giorno, per vicende di restituzioni annunciate e poi non fatte, massoneria, denunce e indagini non comunicate ai vertici del partito.
Eppure, lasciare il MoVimento non conviene a chi se ne va.
Fra i quaranta addii della scorsa legislatura, sono stati solo in due i sopravvissuti in altre liste.
Per la cronaca, si tratta del friulano Walter Rizzetto che lasciò il Movimento per il Misto, dove poi costuitì il gruppo di Alternativa Libera, paracadute per ex grillini che però lasciò dopo l'alleanza di questi ultimi con Possibile di Luca Pastorino e Pippo Civati, destinazione nuovamente il Misto e, infine, Fratelli d'Italia-An.
E proprio con il partito di Giorgia Meloni, Rizzetto è tornato a Montecitorio anche questa volta.
Ancor più tortuoso il percorso dell'altra rieletta ex grillina, dimenticata persino da Di Maio e Toninelli che hanno citato solo Rizzetto come rieletto fra coloro che avevano sbattuto la porta del MoVimento: la tarantina Vincenza Labriola.
Labriola fu una delle primissime ad andarsene, insieme al suo concittadino Alessandro Furnari. Da qui, Vincenza iniziò una peregrinazione che la portò nel Misto, poi nella componente di sinistra del Misto stesso che si chiamava Libertà e diritti-Led e riuniva gli ex vendoliani usciti da Sel e capeggiati dall'allora capogruppo Gennaro Migliore, poi diventato sottosegretario alla Giustizia, renziano di sinistra.
Insomma, sta di fatto che i Led si spensero presto, Vincenza non li seguì nel Pd, ma tornò nel Misto-Misto, per poi aderire a Forza Italia negli ultimissimi mesi di legislatura.
Poi, Vincenza è stata ricandidata e oggi è trionfalmente deputata azzurra.
Certo, se non fosse per nome, cognome, luogo e data di nascita, sarebbe difficile riconoscerla: lei è lei, ma quando ha iniziato con i grillini aveva i capelli abbastanza corti e scuri, mentre ora nelle file azzurre è molto più glamour, con abbondanti meches bionde e capelli lunghi e mossi, con un'immagine molto più fashion e berlusconiana.
Insomma, un'omonima della "prima" Vincenza Labriola.
Che arrivò a Montecitorio dopo essersi candidata al consiglio comunale di Taranto, dove prese una sola preferenza.
"Ma facevo la mamma a tempo pieno" spiegò.
Quella preferenza le è valsa già due legislature.
Vista la capacità di ottenere risultati, io la farei presidente del Consiglio.